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Cenni storici

La nostra storia, il nostro futuro

L'acquedotto romano del Serino 


Costruito fra il 33 ed il 12 a.C. per risolvere il problema dell'approvvigionamento idrico del porto di Puteoli e della flotta stanziata a Miseno, l'acquedotto del Serino è una delle più grandi opere architettoniche dell'Impero Romano.

La realizzazione è dovuta a Marco Vipsanio Agrippa, genero di Augusto, quando era curator aquarum a Roma. Lo scopo originario dell'opera idraulica era di rifornire la gigantesca Classis Misenensis, la più importante flotta del mondo antico, che era di stanza a Miliscola. E lo fecero attraverso un acquedotto lungo inizialmente, 96 chilometri, che partiva dal monte Terminio e arrivava, appunto, fino alla Piscina Mirabilis di Baia. 
Attribuito erroneamente a Claudio, il Fontis Augustei Aquaedictus aveva origine dal gruppo di sorgenti dell’Acquaro in località Serino di Avellino, famose fin dall’antichità per loro qualità, a differenze delle acque del Sebeto eccessivamente cariche di minerali e situate nella valle del fiume Sabato. Alle sorgenti dell’Acquaro fu infatti ritrovata un’iscrizione che attribuiva la committenza all’Imperatore Augusto.

La data dell’abbandono dell’acquedotto è storicamente collocata intorno al 537 d.C. durante l’assedio del generale bizantino Belisario, anche se a partire da 456 d.C. la Campania fu oggetto di molteplici incursioni da parte dei Vandali, a testimonianza che oramai la flotta romana non aveva più la capacità di contrastare invasioni via mare. Indirettamente, ciò dimostra anche che era venuta meno la principale motivazione per l’esistenza dell’acquedotto augusteo, ovvero la necessità di approvvigionamento idrico del porto militare di Misenum. 

Come narra Procopio di Cesarea: “Nel novembre del 536 Belisario aveva quasi deciso di abbandonare lo sforzo, dopo venti giorni d’assedio della città di Napoli. Il ventesimo giorno una pattuglia ha trovato per caso una botola al aquedotto fuori di mura. Si vedano che si può eludere le mura e entrare alla cita da questo acquedotto sotterraneo abbandonato e asciutto. 400 soldati sono venuti di notte, nello ingresso esterne, che avevano trovato, e andarono sottoterra finché trovarsi all'interno della città. Poi sono andati sulla terra, hanno aperto una porta vicina e l'esercito invaso alla città."
 

Lapide romana del IV sec. d.C. fons augustea

Lapide romana del IV sec. d.C. fons augustea di serino.;
Fonte: Vesuvioweb: Giuseppe Giacco – Don Pietro di Toledo e la riscoperta dell’Acquedotto Auguste

Le sorgenti del Serino
La scelta, come origine dell’acquedotto, appare audace ed estrema per le ridotte possibilità tecniche dell’epoca. Le sorgenti sul lato destro del fiume Clanius, attuali Regi Lagni, dovevano essere escluse perché il superamento della valle del Clanius avrebbe comportato arcate assai lunghe ed alte. Così come quelle del Taburno-Camposauro, che già servivano Capua. Occorreva scartare come possibilità anche l’utilizzo delle sorgenti del fiume Sarnus (Sarno) in quanto erano di bassa portata e ad altitudine insufficiente, e cioè a circa 30 metri sul livello del mare ("mslm"). Rimanevano dunque solo le ricche sorgenti dell’area del Serino che offrivano abbondante acqua di alta qualità. L’acqua di Serino era ottimale per alimentare l’area napoletana e rimase tale anche due millenni dopo con la ricostruzione della rete idrica nel 1885.

Il percorso
La valle del fiume Sarno fu superata deviando il tracciato dell’acquedotto verso nord, fino a raggiungere lo spartiacque fra i bacini del Sarno e del Clanius (con una altitudine di 50-55 mslm nelle sue parti meno alte). Dopo aver girato intorno alle pendici nord del Vesuvio, l’acquedotto superava la valle del fiume Sebetus (Sebeto) in un punto in cui era relativamente stretta e di massima altitudine, ovvero sullo spartiacque fra i bacini del Sebeto e del Clanius, con un grandioso ponte canale lungo oltre 3,5 km di lunghezza ma di altezza ragionevole

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Fonte Wiki

Le acque dell'acquedotto sono captate all’estremità settentrionale dell’altopiano di Serino. La sorgente bassa, a 320 m s.l.m. di nome "Urciuoli", riforniva anche la città di Beneventum, mentre un altro ramo dell'acquedotto quello con la più importante diramazione, era collegato all'insieme delle sorgenti alte, "Acquaro" e "Pelosi", a 370 m s.l.m. Una vera e propria rete regionale partiva da qui e riforniva otto città e svariate villae: su dieci diramazioni, sette rifornivano i nuclei urbani importanti (Nola, Pompeii, Acerra, Herculaneum, Atella, Pausillipon, Nisida, Puteoli, Cumae e Baiae) e tre portavano l'acqua alle villae. Comprese le diramazioni, la lunghezza totale dell'acquedotto era di circa 145 km, il che lo rende il più lungo acquedotto romano costruito fino al V secolo d.C. 

Le centurie
Per il territorio della pianura campana, attraversato dall’acquedotto augusteo, le persistenze dei tracciati dei limites delle centuriazioni e delle strade antiche sono quantitativamente assai notevoli e impressionanti. La densità delle strutture cittadine, spesso ancora oggi definibili in vario modo nella loro antica cinta muraria, unitamente alla rete delle strade di connessione e al fitto reticolo, spesso stratificato, dei limites delle centuriazioni (estesi complessivamente per migliaia di chilometri!), permettono una definizione del territorio notevolmente dettagliata. In tale contesto, la natura di una struttura di servizio quale l’acquedotto augusteo si evidenzia in pieno nel suo significato di elemento importantissimo in una più generale e articolata organizzazione.


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Fonte: “L’acquedotto augusteo del serino nel contesto del sistema viario e delle centuriazioni del territorio attraversato e delle civitates servite” a cura di Giacinto Libertini, Bruno Miccio, Nino Leone, Giovanni de Feo 


Le caratteristiche architettoniche
Le dimensioni dell'opera idraulica fanno sì che non vi sia una sola tecnica o un materiale prevalente utilizzato lungo tutto il suo percorso. Vari siti hanno richiesto l'uso di tecniche e materiali adattati al tipo di roccia incontrato.
Quando si trovava tufo o roccia calcarea, la tecnica prevedeva di scavare lo speco (in latino specus: cavità, cunicolo) direttamente nella pietra, ma se il suolo era incoerente, arenoso o vulcanico, allora lo speco veniva costruito con pareti rivestite da uno spesso strato di cocciopesto, con paramento in opus incertum e con volte a botte. Nell'acquedotto augusteo del Serino si trovano quindi degli spechi a forma rettangolare, con un rivestimento in opus signimum e la presenza, a seconda del terreno, di un rivestimento in muratura. Lo speco è largo in media 1,85 m.
Le gallerie scavate nel tufo o nella trachite, ed in particolare la Crypta Neapolitana, hanno una piastra di fondazione ricoperta da pezzame e uno strato di opus signimum, a sua volta sotto uno strato di concrezione di vario spessore. Il cocciopesto si può anche trovare sul rivestimento parietale, fino all'altezza dell'imposta della volta. A La Pietra, a Pozzuoli, si ritrova l'opus signimum poggiato direttamente sulla roccia. 


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Fonte: larapedia.com


L’acquedotto possedeva anche delle particolari rientranze piramidali che, durante il percorso, permettevano una corretta ossigenazione dell’acqua, in modo da farla arrivare in ottime condizioni nelle varie città che attraversava: Nola, Pompeii, Acerra, Herculaneum, Atella, Pausillipon, Nisida, Puteoli, Cumae e Baiae.
Una volta giunta nei centri abitati, l’acqua era raccolta in enormi vasche di depurazione, nella quale veniva ripulita da fogliame, terreno e altre impurità raccolte durante il viaggio. E poi veniva incanalata in tubazioni di piombo verso le strutture cittadine: il sistema dei tubi di piombo è stato utilizzato fino agli anni ’70 del secolo passato!


Il serbatoio di accumulo: la piscina Mirabilis

immagine Mirabilis desk immagine Mirabilis mobile


Le opere della Cassa per il Mezzogiorno: l’acquedotto campano


L ’acquedotto campano, parte preminente del sistema idrografico Campano-Molisano, è certamente il maggiore e tra i più articolati grandi complessi del sud Italia nel settore dell’approvvigionamento idrico.
La sua impostazione è tra gli ultimi esempi della tradizione romana dei grandi acquedotti.

Per la prima volta nella storia dell’Italia unita, con la legge istitutiva della Cassa per il Mezzogiorno, nell’ottobre del 1950, il problema di fornire acqua potabile alle regioni meridionali viene affrontato nel suo insieme, con criteri puramente obiettivi, considerando in una visione unitaria, i bisogni di questo vasto e articolato territorio, e le possibilità da esso offerte in termini di risorse idriche ivi disponibili.

L'intervento della “Cassa” nel settore acquedotti e fognature fu totale in quanto diretto a normalizzare i complessi acquedotti-fogne in tutti i centri abitati del Mezzogiorno e delle isole con opere di nuova costruzione, in alcuni casi integrative di quelle esistenti, idonee a coprire i fabbisogni prevedibili al termine di un cinquantennio.


Situazioni preesistenti e precedenti storici

In tutto il vasto territorio che costituiva la zona di competenza dell’acquedotto campano e che comprendeva 172 comuni fra i quali i capoluoghi di provincia di Napoli e Caserta, esistevano, all’atto dell’inizio dell’attività della ≪Cassa≫, i seguenti acquedotti:

  • acquedotto di Napoli, a servizio di Napoli e di altri 74 comuni;
  • acquedotto Carolino, a servizio di Caserta;
  • acquedotto di Torre Annunziata, a servizio di Torre Annunziata e di altri 3 comuni.

Tutti gli altri comuni, non serviti dagli acquedotti sopra menzionati, disponevano, nel miglior caso, di rudimentali alimentazioni idriche mediante soluzioni locali da pozzi o da piccole sorgenti, non certo assimilabili ad un acquedotto sia dal punto di vista igienico-sanitario che dal punto di vista tecnico.

Acquedotto di Napoli

Il sistema dell’acquedotto di Napoli costituiva il più grande complesso acquedottistico esistente in Campania. La sua struttura fondamentale fu realizzata da una società privata, che ne aveva ottenuta la concessione, negli anni tra il 1881 ed il 1885, a seguito della drammatica necessità provocata dalla grave epidemia di colera che aveva infierito a Napoli negli anni precedenti. Il progetto, realizzato nel 1881, prevedeva l’utilizzo di canali e gallerie preesistenti, e l’opportuno adeguamento delle condotte e delle opere accessorie, in modo da seguire il graduale sviluppo dei consumi e l ’incremento di popolazione, ma anche di estendere la zona di servizio aggiungendo a quella del Comune di Napoli l ’alimentazione di altri comuni viciniori. Nel periodo post-bellico, venne in più chiara evidenza la grave situazione di insufficienza, già peraltro prima di allora avvertita, dell’acquedotto di Napoli, per cui fu necessario istituire turni di utenza con grave disagio igienico e sociale della popolazione. Ne derivò il rinnovato proposito, con aspetti di inderogabilità, di avviare studi per dotare Napoli ed i comuni della provincia di Napoli e Caserta di un nuovo acquedotto che potesse garantire dotazioni idriche proporzionate ai prevedibili sviluppi delle popolazioni almeno fino all’anno 2000.


Acquedotto di Torre Annunziata 

Fu costruito agli inizi del secolo da una società privata per convogliare parte delle acque della sorgente Gelseto, presso Sarno, fino a Torre Annunziata. L ’acquedotto, che non aveva subito alcun adeguamento con il progredire degli anni, si presentava in condizioni di insufficienza e di vetusta e assolutamente inadeguato allo sviluppo industriale assunto dal territorio che gravitava su Torre Annunziata.


Le nuove sorgenti

Tra le opere realizzate dalla Cassa per il mezzogiorno e destinate all’alimentazione del sistema acquedotto Campano ci furono:

  • sorgenti del fiume Biferno a Boiano, per una portata complessiva di 3.130 l./sec.;
  • sorgenti del fiume Torano a Piedimonte d ’Alife, per una portata complessiva di 3.150 l./sec.;
  • sorgenti di S. Maria la Foce, tributarie del fiume Sarno, per una portata, di 520 l./sec.


Sezione sorgente Santa Maria la Foce

S. Maria La Foce

Dalle sorgenti di S. Maria La Foce, che costituiscono le maggiori manifestazioni sorgentizie che alimentano il fiume Sarno, trae origine un sistema, alimentato per sollevamento, destinato a servire i comuni vesuviani, della piana del Sarno e del Nolano, e ad integrare, in parte di quelle zone, l ’alimentazione a gravita derivata dall’asta principale dell’acquedotto campano.

Le sorgenti sono costituite da due gruppi di scaturigini, le prime sgorganti a quota 28,50 m.l.m. parzialmente immesse nell’antico ≪ canale Conte di Sarno ≫ per usi irrigui ed industriali fino a Torre Annunziata, le seconde sgorganti a quota 24 m.l.m. a formare il laghetto Gelseto e utilizzate parzialmente per alimentare l’antico acquedotto civico di Torre Annunziata.
Per la captazione a scopo potabile fu scelta la sorgente superiore, le cui caratteristiche idrogeologiche furono individuate a mezzo di una campagna di studi appoggiata a sondaggi e scavi di esplorazione svolta con la consulenza del geologo.
Tutta l’acqua captata viene convogliata entro una serie di manufatti per la regolazione, il sezionamento e lo scarico, con le necessarie garanzie igieniche, fino al partitore a pelo libero dove viene derivata l’acqua destinata alla centrale di sollevamento, mentre la restante acqua viene restituita, parte all’uso irriguo, parte al fiume.

La centrale di sollevamento è immediatamente addossata all’opera di presa. La portata sollevata viene convogliata a mezzo di una condotta elevatoria in acciaio Dalmine, del diametro di mm. 800, lunga m. 240 e posata entro apposita galleria artificiale in discenderia, ad un serbatoio di testa del sistema della capacità di mc 6.000 situato in caverna al di sopra delle sorgenti e con quota sfioro a 113 m.l.m. Dal serbatoio di testa di S. Maria La Foce vengono alimentati i due rami di acquedotto che si sviluppano a nord e a sud del Vesuvio.

Il ramo nord si sviluppa con condotta di cemento armato precompresso del diametro da mm. 550 a 500 lunga km. 11,80 dal serbatoio di testa al partitore a pelo libero di Nola e prosegue con una condotta di cemento-amianto del diametro di mm. 400 lunga km. 15,20 che, raggiungendo presso Pomigliano la seconda condotta S. Clemente-Capodimonte, consente, come già detto, di attuare la integrazione a gravita della zona tra Padano e Nola allorché vi e disponibilità dall’asta principale del Campano. 

Il ramo sud si sviluppa con una condotta in cemento armato precompresso dei diametri di mm. 800 e 660 lunga km. 15,30 dal serbatoio di testa di S. Maria La Foce al partitore a pelo libero di Torre Annunziata e prosegue con una condotta in cemento armato ordinario da mm. 400 di diametro lunga km. 8,20 fino ad alimentare il serbatoio di Torre del Greco bassa.

Una condotta in ghisa del diametro di mm. 400 lunga km. 1,50 collega il serbatoio di Torre del Greco bassa con il serbatoio di Torre del Greco media consentendo di alimentare a gravità, in periodo di disponibilità, le zone da Torre del Greco a Torre Annunziata, dall’asta principale del Campano. Dal ramo sud sono alimentati tre serbatoi e sono predisposte altresì due prese per l ’alimentazione integrativa dell’acquedotto dell’Ausino.
In totale il sistema alimentato dalle sorgenti di S. Maria La Foce, opera integrativa del sistema del Campano propriamente detto al suo margine orientale, servirà 30 comuni con una popolazione prevista all’anno 2000 in 570.776 abitanti.

La sezione dedicata alle opere della Cassa per il mezzogiorno è liberamente tratta da: "Cassa per il Mezzogiorno. Dodici anni 1950 - 1962" a cura di G. De Marchi – G. Ippolito - L. Baj - E. Galantini Novi-Lena - P. Celentani-Ungaro - L. Rotundi - M. Crocco - M. Cutino - B. Faloci - M. lacopetti - U. Messina. Editori Laterza, Bari 1962. 

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